giovedì 16 giugno 2011

Ricordando l'Europride di Roma 2011. Impressioni di una lesbica credente


Laura ed io, uniche rappresentanti del Gruppo Bethel di persone LGBT credenti liguri all'Europride di Roma 2011, giungiamo in piazza dei Cinquecento quando alcuni carri sono già in posizione di partenza.
Fa caldo e il sole picchia, implacabile, sulle teste di migliaia di persone LGBT (acronimo per Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transessuali) convenute per prendere parte alla sfilata. Il gruppo europeo di persone omosessuali credenti è, all'inizio, sparuto. Si arricchirà di nuove presenze poco prima della partenza. L'attesa sembra interminabile e, ogni tanto, qualche carro passa per viale De Nicola, accolto dagli applausi e dalle urla delle molte persone festanti, variamente abbigliate, assiepate lungo la strada. Piazza dei Cinquecento è già un tripudio di colori, suoni, grida, sorrisi. Un gruppo di persone unite sotto la stessa, invisibile bandiera, quella della legalità omessa, mancata, calpestata. Sono donne, uomini, giovani, anziane ed anziani, famiglie tradizionali con figlie e figli, anche piccoli, famiglie arcobaleno con prole al seguito.
E si comincia. Ricordo ancora il tuffo al cuore quando, lo striscione del forum europeo delle persone omosessuali credenti in bella mostra davanti a me, esclamo alla volta della mia compagna: «Che bello! Si parte...» E via, lungo il percorso stabilito dalla Prefettura di Roma con gli esponenti del comitato organizzatore. Il lungo serpente di varia umanità inizia a snodarsi per le vie del centro, per poi discendere verso l'Esquilino. La gente che resta a guardarci, mentre procediamo in modo lento, a volte ci applaude. Giornaliste e giornalisti, insieme ai tanti fotoreporter, si fermano, chiedono un'intervista, fanno fotografie al nostro méntore, padre John J. McNeill, l'ex gesuita statunitense, oggi ottantacinquenne che, venuto apposta a Roma per un'intera settimana di eventi organizzati per le persone LGBT credenti d'Europa, sfila insieme al consorte sulla sua sedia a rotelle, davanti al nostro striscione.
Il mio cuore batte forte per l'emozione. Faccio un sacco di fotografie per tentare di immortalare il più possibile i volti, le situazioni più particolari ma, soprattutto, le decine di migliaia di persone accorse per osservare o per marciare insieme, verso il riconoscimento di quei diritti civili che la nostra incivile società ci nega da troppo tempo.
Come sempre mi accade, durante le sfilate dei gay pride, è la gente accalcata ai lati del corteo ad attrarre la mia attenzione. Questo particolare significa inclusione, compassione, valorizzazione delle diversità, giacché tutte e tutti siamo diversi ed unici così come Dio ci ha fatti.
L'emozione più grande mi prende quando il corteo svolta per la via dei Fori imperiali. Lì lo spazio è molto di più e mi permette di avere un colpo d'occhio più grande. Di abbracciare con lo sguardo le persone che, come me, hanno scelto di esserci, di metterci la loro faccia, il loro impegno personale, al fine di difendere il più possibile, con tutti i mezzi civili e pacifici, la loro identità personale.
E così, cammin facendo, si giunge al Colosseo. Quante sfilate rainbow avrà visto il monumento simbolo della città eterna! E quante ancora ne vedrà, in attesa che lo Stato italiano si decida a riconoscere pari diritti e pari dignità alle persone LGBT!
Mentre sfilo sotto il sole di Roma penso, con un velo di tristezza, che questo sarà forse l'ultimo pride per John McNeill. Lo avverto, così come tante persone che fanno parte del nostro gruppo, ogni volta che il sacerdote americano ci chiede di girare lo striscione in direzione del Colosseo, al fine di permettere ai suoi accompagnatori di fargli qualche foto ricordo.
L'arrivo al Circo Massimo è un tripudio di urla gioiose, in mezzo alla musica assordante che proviene dai carri che sfilano in testa al corteo. «Ma come – penso tra me e me – è già tutto finito?! Eppure il percorso sembrava così lungo...» E invece penso che questo è solo l'inizio e mi viene in mente tutto il lavoro che, da domani in poi, dopo aver riposato le nostre stanche membra, spetta a noi lesbiche, gay, bisessuali e transessuali credenti sparsi per tutta la Penisola: una lotta variegata e complessa, che ha a che fare con il riconoscimento dei diritti civili, l'abbattimento dello spesso muro del pregiudizio, l'accoglienza delle persone LGBT nei luoghi di culto. Si tratta di una resistenza pacifica a tutto tondo, fatta di tenacia, determinazione, consapevolezza. Tutte e tutti noi, donne ed uomini di buona volontà, siamo chiamati ad intensificarla, questa resistenza. Essa non verrà mai meno e ci renderà delle persone migliori per aver fatto non la nostra, ma la Sua volontà.

Lidia Borghi